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Lo chef fra creatività, innovazione e gestione

Simone Rugiati è un giovane chef con tanta esperienza alle spalle, grande professionalità unita a un’incredibile dinamismo. Nel 2002 entra alla “Hobby & Food” di Parma che lo assume come Chef della rivista “La mia cucina”, dopo alcuni mesi assume anche la direzione delle testate “Buon Appetito” e “Mangiar sano”. Ad oggi ha firmato più di 200 titoli di libri.
Inizia la sua carriera di chef in TV con “La Prova del Cuoco“ su Rai Uno; successivamente è conduttore e coautore di diversi programmi su Gambero Rosso Channel, mentre dal 2011 è il padrone di casa di “Cuochi e Fiamme” su LA7. Rugiati si occupa anche di consulenza a ristoranti, preparazione nelle scuole alberghiere, concorsi internazionali di cucina e pasticceria moderna.

Parliamo di due concetti: creatività e business
«Immagina un ristorante che fa cucina creativa, un viaggio sensoriale, qualcosa di divertente… questo tipo di cucina ha a che fare con la gestione, non è solo estro creativo. È fatta per lo più la sera, quando si ha più tempo, quando si ha modo di fare e far mangiare sette otto portate diverse. Il ristorante se vuole fare business, se vuole essere competitivo dovrà differenziare i menu del pranzo e della cena, il che significa sia differenziare la cucina che differenziare gestione e costi».

L’innovazione perché è importante?simone-rugiati-3.jpg
«Pensiamo ad un modo di cucinare innovativo come la cottura sottovuoto a bassa temperatura: mettiamo che sono lo chef di un albergo, e in sala ho tanti ospiti. Questa tecnica mi permette di precuocere, porzionare le dosi, mantenere morbide le carni, avere una grande sicurezza igienica, mi permette di preparare il giorno prima, e poi all’occorrenza di completare i piatti senza fare tutto in fretta.
L’innovazione è un’esigenza, le preparazioni con tecniche innovative possono essere creative, ma sono comunque un modo di gestire meglio il lavoro».

Dunque non c’è divario fra innovazione intesa come “gioco creativo dello chef” e esigenze concrete, di gestione, servizio, costi…
«Certo, con l’innovazione, come nell’esempio della cottura che abbiamo appena fatto, posso abbattere spese, tempi, gestire con più cura la cucina. Il futuro della tecnologia permette sicuramente di aprire il ventaglio della creatività dello chef, ma soddisfa anche esigenze gestionali.
Ti faccio un altro esempio di innovazione e tecnologia: il microonde. Lo usano ad esempio tanti bar che per fare business preparano anche i pranzi, e qui parliamo di cucina di basso livello. La stessa tecnologia però la puoi usare per montare delle spugne per un piatto super creativo, per fare particolari cotture di cucina alta».

Qual è la molla per ideare un nuovo piatto?
«Non esiste una molla! Io vado sempre in giro per l’Italia e cucino sempre cose nuove. Puoi avere uno spunto da una foto, da un piatto che vuoi rinnovare, da una forma o da un profumo, l’idea il più delle volte arriva dalla materia prima in sé. Mangi una buona carbonara a casa della suocera e ti viene in mente che la puoi fare (invece che con gli spaghetti) con della verdura tagliata fine e una spuma di uova. Per la creatività non c’è una molla, o ce l’hai o non ce l’hai».

Ci dai una valutazione sulla cucina che diventa “evento”? È solo marketing?
«Io ho iniziato a fare show cooking anni fa perché avevo un’esigenza, volevo fare cucina di un certo livello, ma per farlo dovevo avere anche la possibilità di poterla spiegare, perché certi piatti non sarebbero stati capiti. Dall’altra parte è vero che la cucina è anche un passepartout per altre cose. Lo chef fa da presentatore alla sua idea culinaria e la cosa può servire per dare vita ad un microevento, magari in un giorno infrasettimanale dove puoi fare un menu speciale a tema che in settimana non riusciresti a fare. Puoi lavorare con calma in quel giorno, usare meno personale, e così puoi proporre a costi più bassi, in un giorno non affollato, un’esperienza culinaria diversa dal solito. Riempi il tuo locale in una serata morta e fai business, ma hai anche regalato un’esperienza nuova al cliente e tu da chef hai lavorato in modo diverso da come lavoreresti nella normalità, col menu alla carta».

Infine parliamo di Km0 e tradizione
«La tradizione è d’obbligo, io l’ho sempre fatta. Se vado a mangiare in un posto di mare voglio mangiare pesce, e non lo vado a mangiare in montagna. In Liguria voglio trovare il pesto, se vado a Roma voglio trovare la cucina romana. Posso fare cucina creativa ed elaborata, ma un minimo di Terroir ci deve essere».

Perché questo è importante?
«Si spende meno, si sa che il prodotto locale viene da vicino ed è più fresco. E poi perché l’Italia ha una capillarizzazione della cucina incredibile, si fanno ricette diverse da paese a paese. Bisogna mantenere queste differenze e puntare sui prodotti locali, anche sui cibi poveri. Significa mantenere una grande ricchezza e varietà, e questo è importante. Chi fa il turista enogastronomico vuole questo, conoscere un luogo e la sua gastronomia unica».


13/12/2012

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